Intervista con il cliente: Architetto Daniele Romani

 

 

Parco Archeologico del Colosseo

Da oltre sessant'anni, la Angeloni Angelo S.r.l. opera nel settore della conservazione e del restauro di parchi e giardini ed in quello del restauro monumentale e degli scavi archeologici. 
Queste articolate competenze, derivate dall'esperienza dei lavori eseguiti in parchi storici e in parchi archeologici, oltre che in giardini contemporanei, permettono di garantire al cliente quell'unità di intervento che, sempre più spesso, è un'esigenza primaria di complessi dove l'aspetto edilizio o monumentale è compresente all'aspetto paesaggistico e/o giardiniero. 

Abbiamo intervistato l'architetto Daniele Romani


Buonasera e grazie per aver accettato di partecipare a quest'intervista. Per cominciare, può dirci in cosa consiste il suo lavoro? 
ARCH. DANIELE ROMANI: Certo. Io sono un impiegato tecnico in un'azienda che si occupa principalmente di lavori e di servizi legati al verde pubblico, con anche categorie di restauro, scavi archeologici, opere di irrigazione, ecc. La peculiarità di quest'azienda è che lavoriamo principalmente in aree monumentali e/o archeologiche. Io faccio parte dell'ufficio tecnico, lavoro sull'organizzazione del cantiere [approvvigionamento dei materiali, gestione della logistica e dell'attività operativa, ecc.] e sulle attività al suo interno, dal semplice preventivo alla contabilità dei lavori [trasformare i lavori, ossia quello che viene realizzato all'esterno, in numeri e soldi] e tutto quello che concerne le offerte tecniche nelle gare a cui partecipiamo. Come azienda, lavoriamo principalmente con il pubblico, e quindi partecipiamo a gare e appalti pubblici. Le gare si strutturano tramite un bando che viene pubblicato in gazzetta ufficiale, in cui si controlla se sono presenti tutti i requisiti per poter partecipare. Se questi requisiti sono presenti e decidiamo di partecipare, allora organizziamo all'interno dell'azienda la parte amministrativa della preparazione della gara e anche la parte tecnica, in quanto i nuovi appalti richiedono adesso l'offerta tecnica, che altro non è che una relazione tecnica con tavole, anche grafiche a volte, per le quali viene data una traccia su cui lavorare. Le gare si costruiscono così. Io mi occupo anche di questo aspetto della parte tecnica. Un lavoro abbastanza dinamico, insomma. 

Pensate quindi a tutte le fasi, dall'inizio alla fine? Dal progetto iniziale fino alla manutenzione che si terrà una volta completati i lavori? 
D. R.: Normalmente, quando si parla di appalti pubblici, o in generale di una commessa, il lavoro può iniziare con una gara oppure, semplicemente, con un preventivo. Tutto questo porta alla realizzazione e poi alla contabilizzazione di ciò che viene fatto. Questo [la contabilizzazione] significa arrivare alla fattura, e quindi al compenso e tutte le carte annesse. Qui si chiude un ciclo. Queste cose durano anche mesi, lavori che durano anni, perciò si va a sviluppare tutta una serie di rapporti con i fornitori, uffici acquisti, problematiche, sospensione dei lavori, riavvio di lavori, modifiche a quello che era il computo metrico iniziale, ecc. Quando si parla di appalti pubblici, si va a lavorare con un computo metrico ben preciso che può subire modifiche nel tempo, e questo significa tutta una nuova serie di carte che vanno a modificare il progetto. Noi lavoriamo molto in aree archeologiche e perciò, molte volte, ci sono degli imprevisti significativi che vanno a cambiare il progetto iniziale, o dei progetti vengono fatti con delle indagini preliminari [che permettono di prevedere cosa andrà fatto] non così specifiche. Si lavora anche in variante di progetto, quindi. 

Capita di lavorare in contemporanea su più progetti? 
D. R.: Si, capita molto spesso. Normalmente non si lavora mai su un'unica commessa, anche perché la nostra azienda non è monosettore, ma si occupa di molti aspetti diversi. L'azienda è nata principalmente per la manutenzione del verde, perciò nella sua storia, nella sua indole, il verde è un'elemento predominante [verde pubblico e ornamentale, tutti ambiti per cui c'è bisogno di una preparazione e di una formazione ben specifica] e poi nel tempo, rimanendo comunque in ambiti dove il verde è predominante ed è a tutti gli effetti un elemento architettonico come possono essere ambiti monumentali o archeologici, il passo è stato breve, e si è andato ad intervenire anche sul manufatto storico, toccando la parte materica [restauro di mura o scavi archeologici]. Questa diversificazione ci permette di lavorare su più commesse. Poi abbiamo, magari, il lavoro di punta, quello principale, ed un lavoro manutentivo, che hanno bisogno di controlli diversi. Per quello manutentivo, poiché ciclico, abbiamo esperienza e conosciamo già le tecniche da applicare, mentre mentre per i lavori nuovi ci troviamo a confrontarci con imprevisti e problematiche nuove che sono comunque accattivanti e riservano aspetti interessanti. Anche da questo punto di vista si diversifica molto.

Lei ha parlato di interventi in siti storici e archeologici. Andate anche a trattare problematiche quali patologie del terreno o verde che invade il monumento storico? 
D. R.: Assolutamente. È uno degli elementi fondamentali. La vegetazione è sempre in divenire e deve avere una manutenzione costante. Questo è stato uno degli aspetti che, per esempio, con la pandemia è stato fondamentale. Fu infatti una delle attività che non furono mai bloccate. È un tema molto delicato e particolare, quello della vegetazione infestante. Lavorando nei siti archeologici, noi lavoriamo principalmente su questo aspetto, in quanto può compromettere le strutture murarie. Il controllo e la gestione della vegetazione infestante viene fatta attraverso dei protocolli specifici, in quanto ci sono prodotti che possono essere usarti e altri no. Poiché si tratta di aree aperte al pubblico, non si può semplicemente usare una qualsiasi tipologia di prodotto come se ci si trovasse in un campo sperduto, lontano dalle persone. Nell'area archeologica dobbiamo lavorare seguendo protocolli e autorizzazioni e fare in modo di utilizzare i prodotti giusti. Addirittura, molte volte capita di usare tecniche e attrezzature ecocompatibili, come per esempio il fuoco [a impatto zero, in quanto non disperde agenti chimici nell'aria]. Lavoriamo su questo sia dal punto di vista del verde sia da quello dei restauri. L'intervento di restauro, però, dipende dal direttore dei lavori, e se si vuole dare una situazione di restauro evidente oppure si vuole creare un qualcosa che vada ad integrarsi senza rendere troppo evidente la mano dell'uomo. Si decide perciò di volta in volta il tipo di intervento, il tipo di attività, il tipo di lavoro, che andiamo a fare. 

[Lei si è laureato alla facoltà di architettura della Sapienza.] Gli insegnamenti che ha ricevuto durante gli anni di studio sono stati utili poi nel mondo del lavoro? 
D. R.: Quando ho iniziato a studiare architettura, sono partito con la mentalità di voler fare l'architetto progettista ed aprire un mio studio. Poi nel tempo si comincia a tremare, perché pensi "aspetta, ma c'è posto per me in questo mondo?", o meglio "Cosa posso fare?". Perché so fare tutto e non so fare niente [questa è la prima crisi che viene quando si sta per terminare il percorso di studi]. Ma arriva un momento, dopo la laurea, in cui bisogna fare una scelta. Chi fa la quinquennale di architettura ha una grande fortuna: si sa muovere su vari campi. Molti miei colleghi hanno scelto lavori più di nicchia, come interior design o paesaggio, e sono molto soddisfatti del loro lavoro, ma c'è anche chi invece si è dato alle pratiche edilizie [anche questo fondamentale]. Alla fine ti rendi conto che di campi, all'interno dell'architettura, ce ne sono migliaia tra cui scegliere. Ma una cosa fondamentale che architettura ti dà è sicuramente il metodo.  [ ... ]  È importante ricordarsi che non si finisce mai di imparare. Io, per esempio, mi ritrovo dopo anni di lavoro ad imparare ancora tanto per quanto riguarda cose che pensavo di conoscere benissimo o di cui magari ignoravo completamente l'esistenza. L'importante, secondo me, è la curiosità. E imparare ad ascoltare e capire dove si può attingere, soprattutto in una professione come la nostra. 

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